La necessità di una riorganizzazione dei servizi sanitari nell’era del post Covid

Mentre ci apprestavamo a scrivere questo articolo, lieti di poter finalmente lasciare alle spalle la tematica Covid e di ricominciare a parlare di altri argomenti, più di respiro, è arrivata la notizia dello scoppio della guerra in Ucraina, che ci ha lasciati ovviamente sconvolti, come tutti.

La scaletta degli argomenti che ci eravamo prefissati è stata dunque sconvolta dall’attualità, come è giusto che sia peraltro nel caso di un’attualità così forte e sconvolgente.

Di fronte all’atrocità delle immagini che scorrevano davanti ai nostri occhi in tv, con palazzi distrutti, scuole e ospedali colpiti, civili in fuga, e tanti bambini tra questi, ci siamo chiesti cosa potevamo fare noi, come Sanimpresa, per cercare di dare un nostro contributo a carattere sanitario alla popolazione in fuga o rimasta (suo malgrado o per scelta) in un Paese martoriato.

Abbiamo contattato da subito i nostri interlocutori istituzionali (enti bilaterali, organismi della Cassa), alcuni  nostri partner economici, e donatori privati che sapevamo particolarmente sensibili alle sofferenze di chi è meno fortunato di noi: grazie a uno straordinario lavoro di squadra stiamo consegnando farmaci e presidi sanitari per un valore di 41 mila euro alla chiesa ortodossa ucraina di via di Boccea, che si sta facendo carico di fare da centro di raccolta per  tutta la città, visto il suo essere punto di riferimento per la comunità ucraina di Roma (è la loro chiesa nazionale nella capitale).

Metteremo inoltre a disposizione degli ucraini presenti in Italia un numero dedicato al loro supporto psicologico, sul modello di quelli già messi in campo come linee antisuicidarie e per gli abitanti di Amatrice. Vorremmo così tentare di dare assistenza e sollievo a quanti sono lontani in questo momento dai loro cari, e soffrono a saperli in pericolo e difficoltà senza poter far nulla perché impossibilitati a raggiungerli o a farli venire in Italia.

Oltre a queste due iniziative, continueremo, ovviamente, a seguire costantemente l’evoluzione degli eventi, tentando di dare sempre più il nostro apporto fattivo. Come fu per il Covid, quando la spinta solidaristica della nostra Cassa si sostanziò in una donazione all’Irccs Spallanzani, che sin dai giorni terribili della prima ondata rappresentò un motivo di orgoglio e speranza nel nostro Paese, visto anche il grande contributo che le sue ricercatrici diedero alla codificazione di quello che allora era un virus ignoto.

Sappiamo che il nostro contributo è solo una goccia nell’oceano delle necessità che si stanno venendo a creare in questi giorni per gli ucraini, ma sappiamo che se non lo facessimo l’oceano avrebbe una goccia in meno, come diceva Madre Teresa di Calcutta.


Tornando alla nostra realtà, vogliamo focalizzarci in questo numero, così come avevamo pensato, sulla necessità di una riorganizzazione di cure, soprattutto in questa fase post Covid, ma che superi la tematica pandemica per servire a migliorare il sistema assistenziale italiano.

La pandemia ha evidenziato ancor di più le tante fragilità del nostro sistema socio-sanitario, soprattutto in tema di assistenza di lungo periodo ai più deboli e bisognosi di cure (anziani non autosufficienti, disabili).

Come sapete Sanimpresa ha da sempre a cuore la tematica della non autosufficienza: la nostra Cassa infatti ha da sempre una garanzia per chi non è più in grado di adempiere alle proprie necessità quotidiane (bisogni primari quali lavarsi, vestirsi, cucinare, etc.).

Abbiamo pensato che una polizza sanitaria non poteva escludere l’assistenza a tutte quelle persone che, per un infortunio sul lavoro o per una malattia neurodegenerativa, avevano bisogno di un plus di assistenza quotidiana, anche per dare sollievo ai loro familiari, che sono i primi e naturali caregiver del soggetto con necessità di assistenza continua.

Del resto, i dati sulla non autosufficienza in Italia confermano la bontà della nostra scelta.

Di quasi 14 milioni di over 65, oltre 5 milioni e mezzo sono affetti da almeno tre malattie croniche, e 4 milioni presentano disabilità gravi. Secondo l’ex sottosegretaria alla sanità Grazia Labate, autrice di un recente studio in materia, l’effetto combinato delle maggiori necessità socio-sanitarie emerse in questi due anni di virus, e di un contesto economico-sociale sempre più caratterizzato dalla povertà e dalla solitudine (quando non dell’abbandono degli anziani fragili  e non  autosufficienti) hanno fatto da stress test al nostro sistema sanitario, mostrando la fragilità – se non l’assenza – della rete territoriale di cura  e assistenza, e una certa resilienza dell’ospedale. Tutto questo, secondo l’esperta, obbliga a un ripensamento del sistema su due direttrici: la riorganizzazione e il potenziamento dell’offerta dei servizi domiciliari, a partire dagli interventi di cura, e l’utilizzo di strumenti di valutazione standardizzati per riconoscere, misurare e trattare la fragilità e i bisogni delle persone, in particolare quelle con pluripatologie.

Per fare tutto ciò, l‘ultima finanziaria ha fornito una prima definizione dei LEPS, i Livelli Essenziali delle Prestazioni Sociali, in pratica l’equivalente dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) da anni usati in sanità per garantire un sistema minimo di cure per tutti, ed evitare le disparità tra i vari sistemi sanitari regionali. La loro adozione era richiesta da anni, e dovrebbero servire a programmare, coordinare, realizzare e gestire con maggiore efficacia gli interventi sul territorio. Certo, nel loro specifico i livelli devono essere ancora dettagliati (ci sono 18 mesi di tempo dall’entrata in vigore della legge per la loro individuazione e approvazione) ma è interessante sapere che al loro finanziamento concorreranno non solo le risorse già destinate per le stesse finalità dal Piano nazionale degli interventi e dei servizi sociali 2021-2023, ma anche quelle di fondi comunitari e del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) destinate a tali scopi.

Questa “riforma” dovrebbe finalmente dare delle risposte efficaci ai bisogni del milione circa di anziani con gravi limitazioni funzionali che non beneficia di assistenza sanitaria domiciliare, e ai 382 mila non autosufficienti che non hanno né assistenza sanitaria né aiuti di alcun genere, nonché all’1,8 milione di longevi con limitazioni funzionali che hanno solo aiuti di carattere sanitario.

In questo contesto i provvider privati, che forniscono servizi di assistenza in particolare in termini di case di riposo, RSA e badanti, svolgerebbero un ruolo strategico se ricondotto sotto un governo della domanda fatto da una regia pubblica. Questo anche nell’ottica della revisione dell’accoglienza che attualmente viene offerta da strutture ormai considerate non sempre adeguate. Sarebbe auspicabile infatti il superamento della vecchia idea di RSA e case di riposo come uniche possibilità di assistenza, a favore di strutture più piccole e familiari, nuclei abitativi  che consentano al non autosufficiente di vivere in un contesto meno organizzato e più familiare, almeno in presenza di necessità assistenziali più leggere: molti anziani sono infatti relegati in strutture residenziali non in linea con i propri reali bisogni, e questa rappresenta una forma di “ricovero improprio” e di istituzionalizzazione non necessaria, mentre strutture alternative, come le comunità residenziali già presenti nella legge sul “Dopo di noi”, consentirebbero una restituzione della persona alla comunità, e un possibilità in più di mantenimento dell’autonomia residua degli ospiti.

È un contesto che potrebbe consentire anche alla nostra Cassa di rimodulare l’offerta in tema di non autosufficienza, coordinando i nostri sforzi con quanto necessita al sistema socio-sanitario di cui siamo parte integrante, e di cui non vogliamo essere i sostituti, né meri colmatori di buchi programmatori.

Speriamo che in un futuro breve si possa aprire a livello nazionale un tavolo di concertazione per far sì che gli sforzi in termini di risorse possano essere concordati anche con gli attori privati, per essere finalizzati al meglio, consentendo ai nostri iscritti di avvalersi di un ventaglio di offerte più ampio, non relegato all’alternativa tra la casa di riposo o RSA, e la badante.

Il rafforzamento dell’assistenza domiciliare, e la trasformazione delle grandi strutture in strutture abitative protette (ma non per forza medicalizzate) potrebbero consentire a molte persone, e alle loro famiglie, un’assistenza che non si trasformi in uno stravolgimento della routine familiare (mi riferisco soprattutto alla necessità di una presenza costante di tipo badantale sulle 24 ore) o in una semi-ospedalizzazione della persona in difficoltà.


­­­­­­­­­­­­­­­In generale va detto che la pandemia e la crescita dell’età media della popolazione (e, quindi, dei nostri iscritti) ha creato tutta una serie di necessità di cui anche noi dobbiamo essere consci.

Oltre a essere disponibili, come detto, a una riformulazione della nostra garanzia non autosufficienza, funzionale alla riorganizzazione del sistema socio-assistenziale sin qui tracciata, nei prossimi anni riteniamo che come Cassa saremo chiamati a rispondere sempre più spesso di nuovi bisogni, per esempio quelli relativi alle indagini e cure del cosiddetto Long-Covid: tutti i dati ci dicono che alla ripresa dell’attività sanitaria sono cresciute esponenzialmente visite ed accertamenti diagnostici, in particolare quelli delle branche connesse agli esiti sul lungo periodo della malattia (cardiologia, broncopneumologia, angiologia).

Noi abbiamo già intrapreso una nostra strada per porre rimedio ad una crescita incontrollata dei costi per le prestazioni sanitarie che ogni anno diamo ai nostri iscritti: come sapete, dal 2016 gestiamo un Centro ad erogazione diretta di prestazioni. Siamo partiti dalla cardiologia, attualmente gestiamo 14 specialità mediche, e speriamo in tempi brevi (siamo in attesa dell’autorizzazione regionale) di poter attivarne ulteriori 6, arrivando a 20: inutile dire che sono quelle più richieste dai nostri iscritti.

Ovviamente tutto ciò ha dei costi di gestione non indifferenti, pertanto saremo chiamati probabilmente in un futuro abbastanza prossimo a rimodulare il nostro piano sanitario, riconducendo a noi magari prestazioni che al momento hanno un doppio canale (erogazione tramite Centro polispecialistico da un lato, e tramite le strutture convenzionate Unisalute dall’altro).

In un momento in cui alcuni Fondi si vedono costretti a ridurre al minimo le loro prestazioni, noi pensiamo che rimodularle garantendole nel numero, nella qualità e nei tempi di esecuzione, possa essere la soluzione per continuare a prenderci cura al meglio della salute dei nostri iscritti.

Speriamo che il prossimo numero ci possa dare la possibilità di parlare dell’attivazione delle nuove specialità mediche, e di nuove eventuali iniziative finalizzate al miglioramento della nostra offerta in un’ottica di sistema con il Servizio Sanitario Nazionale, e non più di pandemie, guerre, e altre catastrofi.

VICE PRESIDENTE

Luigi Corazzesi